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Cosa sono i grani antichi? Perché hanno sempre più importanza nella cucina e, soprattutto nella pizzeria moderna?

Antico vuol dire “bene da tutelare”. E già la parola evoca sensazioni e memorie che ci riportano immediatamente alla Madeleine celebrata da Marcel Proust nel libro “La strada verso Swann”: basta intingere questo prezioso dolce, simbolo della Francia, in una tazza di tè… ed è subito infanzia. Ma è così anche per i grani? Grano antico è solo una sensazione, un ricordo, un claim pubblicitario? Beh, ovviamente no, ma per orientarsi in questo mondo complesso abbiamo deciso di andare oltre l’enfasi del nome e proporre 7 semplici tips per raccontare il senso di questa locuzione.

1. L'utilizzo dei grani antichi aiuta i piccoli produttori

Dopo la grande industrializzazione della seconda metà del Novecento, la riscoperta dei grani antichi è stata opera di produttori di piccola scala che hanno deciso di mettere sul mercato questi prodotti, consci non solo della difficoltà di produzione che essi richiedono ma anche della capacità di comunicarli adeguatamente. Per questo, Slow Food è con loro e sottolinea proprio questo punto alla base dell’intera narrazione: acquistare i grani antichi, anche se più costosi, aiuta i produttori a continuare il loro lavoro. Proprio per questo, dopo le prime tre edizioni di Sementia, l’evento annuale che Slow Food ha realizzato dal 2018 nel Sannio, si è deciso di dare vita alla rete di Slow Grains che si appresta a muovere lentamente i suoi primi passi, coinvolgendo quei produttori che, sul territorio nazionale, sono impegnati a recuperare e coltivare i grani antichi.

2. Coltivare grani antichi tutela la biodiversità

Come ben noto, l’impegno di Slow Food al fianco dei piccoli produttori nasce soprattutto con l’obiettivo di tutelare la biodiversità. L’industrializzazione del comparto cerealicolo ha portato infatti alla progressiva scomparsa dei cosiddetti “grani antichi” a favore di grani moderni e coltivazioni monovarietali perché i primi richiedono costi di produzione più alti anche perché restituiscono una resa più bassa. Tuttavia, il vantaggio della biodiversità è noto: una variabilità genetica ampia si adatta più facilmente ai mutamenti ambientali e, in caso di malattie che colpiscono una varietà, le altre hanno maggiori possibilità di salvarsi.

3. Non (tutti) contengono meno glutine

Un luogo comune vuole che i grani antichi abbiano meno proteine e dunque, per estensione e per semplificazioni successive, meno glutine. Se questo però è vero per Il farro, ricco di fibre, non vale per lo Spelta che ha anch'esso un'elevata quantità di fibre ma anche un alto indice glutinico. Un altro esempio è infine quello del Senatore Cappelli, dai più ritenuto l’antenato del grano duro moderno: esso ha una elevata percentuale di proteine ma una presenza minore di glutine. È dunque impossibile fare di tutt’erba un fascio.

4. Anche tra i grani antichi vi sono quelli ibridati

Per promuovere i grani antichi, spesso si sente dire che “sono più autentici” di quelli moderni perché non sono stati vittime di selezione genetica. Nulla di più falso! La grande sapienza contadina ha da sempre selezionato le varietà migliori dal punto di vista ambientale e della resa e quindi anche i grani antichi, così come quelli moderni, sono stati spesso selezionati mediante incroci e ibridazioni. Basti pensare che il già citato Senatore Cappelli ha avuto origine dalla varietà tunisina Jeanh Rhetifah.

5. I grani antichi sono riconoscibili perchè alti

I grani comuni che troviamo oggi in campo sono molto al di sotto del metro mentre i grani precedenti alla rivoluzione cerealicola degli anni ’70 sono in genere oltre il metro e trenta. Anche per questa caratteristica la resa per ettaro dei grani antichi è inferiore a quella dei grani moderni ma i trattamenti richiesti per questi ultimi sono economicamente molto meno vantaggiosi di quelli riservati ai primi.

6. Antico, si... ma quanto?

Nell’ultimo decennio sono stati molteplici gli studi condotti per provare a recuperare informazioni sulla presenza dei grani antichi sull’intero territorio nazionale italiano. In Italia, alcune fonti informali sono pronte a giurare sull’esistenza di circa 800 denominazioni “antiche” attestate, le quali, con buona approssimazione, corrisponderebbero a circa 400 varietà. Per fregiarsi però del nome “grano antico” questi grani devono avere un nome riconosciuto dalla comunità che lo coltiva, l’attestazione di una presenza nello stesso luogo da almeno 50 anni e una continuità di coltivazione da almeno 25 anni.

7. Tutti i grani portano alla pizza

È necessario ribadire che la riscoperta dei grani antichi è andata di pari passo alle ricerche intraprese da mulini e pizzaioli per innovare e personalizzare la pizza. Per questo motivo, molti dei grani ritornati in auge sono strettamente collegati a quella loro capacità che potremmo definire “pizzabilità”, ossia alla trasformazione delle farine ottenute con questi grani in una ottima pizza che rispecchi l’identità del maestro pizzaiolo. Per questo motivo, molti mulini di recente si sono interessati all’argomento. Prima di molti altri però è da ricordare l’impegno di Agugiaro & Figna che ha “messo nel sacco” i grani antichi grazie a una ricerca che ha avuto inizio già nel 2008, ben prima che questi divenissero uno dei trend gastronomici della contemporaneità.

Articolo estratto da Pizza Stories

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